La “Battitura”

“Non c’è che una stagione: l’estate. Tanto bella che le altre le girano attorno. L’autunno la ricorda, l’inverno la invoca, la primavera la invidia e tenta puerilmente di guastarla”.
Ennio Flaiano
(sceneggiatore, scrittore, giornalista, umorista, critico cinematografico e drammaturgo italiano).
Con l’estate arrivava la scadenza più importante per la vita contadina: la battitura e la mietitura. Un tempo, il giorno della battitura, in particolare, era una grande festa perchè non solo sanciva la conclusione dell’anno produttivo ma costituiva anche una grande occasione sociale per tutti gli uomini e per le donne che vi partecipavano. Già all’alba venivano offerte colazioni ai lavoranti, lo “disdigiunello” a base di vinsanto e cantucci, il vino liquoroso e i biscotti che ogni casa produceva. Si avviavano i prosciutti, si uccidevano i conigli, oche e polli allevati proprio per quest’occasione. Il periodo della raccolta del grano variava a seconda delle zone. In pianura s’iniziava intorno alla metà di giugno, in montagna verso la fine dello stesso mese e i primi di luglio e anche più tardi. Generalmente, per la mietitura, i contadini, uomini e donne, collaboravano (“se va a scambio de opre” dicevano) cioè mietendo a turno ora presso l’una, ora presso l’altra famiglia. Gli operai “stornellando” avanzavano sul campo tutti in fila a fronte sparso e spesso ognuno di loro portava infilata nelle dita una guaina di canna con dei campanelli, la cui funzione era di proteggere le mani, controllare il ritmo del lavoro e spaventare serpi o vipere. I mietitori si dividevano in gruppi di squadre: 3 o 5 persone tagliavano, una preparava il legaccio (balzo) e una legava (el legarino). Normalmente i “balzi” venivano preparati dai più giovani (i fioli o i citti) con la paglia più lunga tolta direttamente dalla manna. Poi i “balzi” venivano distesi per terra in attesa di essere utilizzati dal “legarino”. In due giorni venivano tagliate e legate circa 250 manne e riunite ogni sera in covoni costuititi ciascuno di 17 manne e in alcuni casi anche da 21. I covoni si lasciavano sul campo in attesa di essere trasportati nell’aia per la trebbiatura. Con la sistemazione della croce in cima al covone finiva la prima fase di questo lungo lavoro. A questo punto arrivava la “macchina da bate”, la trebbiatrice. Il grano pulito veniva sistemato in sacchi (balle) del peso di 4 mine cioè di 1 quintale. Per ogni balla riempita il fattore, o altro incaricato dal padrone, tracciava una tacca sul bastone; le massaie, a loro volta, tenevano il conto tracciando delle croci sul muro. Con la battitura si poteva dire conclusa questa lunga lavorazione che richiedeva dai 15 ai 20 giorni. Subito dopo il contadino cominciava l’aratura del terreno per prepararlo alla semina. Questo avveniva proprio nel mese di agosto, perchè il sole cocente, seccando le erbe infestanti (malerbe), contribuiva alla ripulitura del campo. La semina veniva effettuata a fine ottobre-novembre, dopo la vendemmia, ed era fatta a mano (a spaio o alla volata) e veniva immediatamente preceduta dal passaggio di una macchina chiamata erpice.
Brano tratto da “Costumi e Tradizioni Popolari”, libro gentilmente concesso dall’Istituzione Culturale Educativa Castiglionese.